Francesco Piccolo - Allegro occidentale

Francesco Piccolo - Allegro occidentale 

Einaudi  Super ET
2013
pp. 221
€ 12




"Erano giorni in cui avevamo accumulato ore di isolamento e di mancanza di comunicazione. Ciò vuol dire, nel linguaggio sms, un' enorme quantità di messaggini in stand by che avevano vagato dall' Italia attraversando più di un continente e adesso volteggiavano sulla foresta cingalese come anime dannate, in attesa di essere ricevute, e ricevendo di continuo la compagnia di altri messaggini ancora, messaggeri di frasi sempre più sorprese e allarmate riguardo al fatto di non ricevere risposte (alcuni degli ultimi si assomigliavano, abbiamo scoperto dopo, perché contenevano una domando che con poche variazioni era nella sostanza la seguente: ma non hai il segnale?, che con un po' di onestà bisognerebbe ammettere che è una domanda scema se uno il segnale non ce l'ha per davvero, visto che non può ricevere nemmeno la domanda).
Ma provate adesso ad allontanarvi dal nostro gruppo e anche solo ad attraversare la strada e a guardare la scena non più all' interno, ma con il punto di vista di una di quelle persone indigene che sostano per qualche motivo nella piazzola e che a un certo punto vedono fermarsi un pulmino di turisti, li vedono scendere uno dietro l'altro con espressione di eccitazione, tutti con un aggeggio in mano che accendono e digitano il pin e poi attendono il segnale, il segnale arriva e loro se lo comunicano l'un l'altro con entusiasmo, lo mostrano, rimangono in attesa accanto a quello che ha un telefonino più scandente che tarda a ricevere il segnale e poi lo riceve. E dopo, vedono quegli esseri che fissano l'aggeggio in attesa di ricevere quel che vogliono. E infatti i messaggini, avuto il via da una specie di torre di controllo, atterrano l'uno dopo l'altro e ogni volta vengono acquisiti tramite la testimonianza di un rumore netto e sordo, che sembra una musica ma non fa in tempo a esserlo e finisce per assomigliare di più a quando si vincevano le partite a flipper e una botta sorda lo annunciava. Tatatà. Un messaggio a Caterina. Tatatà. Un messaggio a Giordano. Tatatà, due. E poi una serie continua e ininterrotta, sempre più eccitata di tatatà e tatatà, e così tutti i messaggini che occupavano il cielo dello Sri Lanka atterrano nel piazzale in mezzo alla foresta e provocano una gara a chi ne ha ricevuti di più, un' eccitazione sempre più grande a ogni tatatà che compare sul proprio telefonino, e una lunga attesa anche dopo il silenzio nel caso in cui qualche messaggino tardasse ad atterrare. E dopo, sempre lì, in piedi, vicinissimi perché il campo è ridotto, e invasati dall'eccesso di comunicazione con il mondo dopo giorni di astinenza, tutti consultiamo uno dopo l'altro i messaggini, sul posto perché dobbiamo rispondere, e quindi l'indigeno dall'altro lato della strada ci vede premere tasti come in un videogioco e inviare, e alle volte il destinatario in Italia è troppo abile e pronto e prima che finiamo di rispondere a tutti arriva qualche altro sporadico tatatà, di già, una controrisposta alla quale velocemente contro-controrispondere. Cala la sera, la guida ci guarda con sguardo assente e senza un velo di giudizio, e questo va a suo merito. Quando ci riteniamo soddisfatti, saltiamo di nuovo sul pulmino, pronti per qualsiasi appuntamento. Appagati. Felici."

Piccolo ha scritto una sorta di "cronaca di viaggio" fra Roma, Berlino, Sri Lanka e Australia - divertente, dall'aspetto spesso tragicomico - di quello che dovrebbe essere (ma che secondo me non è, o perlomeno non lo è sempre) il classico occidentale alla ricerca di se stesso, nei tanto agognati "Paesi Lontani".

Il protagonista si ritrova catapultato in abitudini e luoghi completamente fuori dal suo standard, a cominciare dal viaggio in business class, passando per la vita spassosa dei villaggi Valtur, fino ad arrivare alle hostess che, sull'aereo, spruzzano sterilizzanti, onde evitare che i turisti - ovvi portatori di microbi - possano minacciare l'incontaminato mondo australiano.  Il vivere luoghi, usanze e profumi nuovi, farà spesso venire a galla pensieri seppelliti nella memoria di Mister Piccolo, costringendolo a tornare con la mente al suo vero mondo e a capire che in realtà non si era poi allontanato tanto quanto credeva.

La penna dello scrittore scorre velocissima, tanto che a tratti quasi si rischia di perdere il filo, ma resta sempre ironica senza mai cadere nella stupidità, e credo sia soprattutto questo che mi ha spronato ad andare avanti nella lettura. Stavolta infatti Piccolo non mi ha del tutto convinto: ha iniziato bene, ma verso metà romanzo ho avuto come l'impressione che si stesse perdendo per strada e che, nonostante il ritmo incalzante, stesse diventando un po' noioso. Peccato.

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