Paolo Cognetti - Sofia si veste sempre di nero

 Paolo Cognetti - Sofia si veste sempre di nero

Minimum Fax
2012
pp. 201
€ 14





"Nonostante questo, l'acqua bollente ha il potere di farti stare subito meglio, sciogliere la tensione accumulata: da quando sei senza fissa dimora, la vasca da bagno è l'unico luogo in cui, dovunque ti trovi, puoi chiudere gli occhi e sentirti a casa.
Poi la maniglia della porta va su e giù nervosa. “Perché ti sei chiusa dentro?”, chiede Leo. 
“Avevo freddo”, dici. “Avevo voglia di fare un bagno”. 
“Sì, ma c'era bisogno di chiudersi a chiave?”
“Tu vuoi buttarmi fuori, io mi chiudo dentro”, spieghi, con una logica elementare. Non è lui l'occupante di una casa occupata?
“Che profondo concetto politico”, dice Leo. “Però non credo che così arriviamo da qualche parte”.
La vasca è di quelle corte, ma se stringi ancora un po' le ginocchia al petto riesci a scivolare sulla schiena, e a immergerti fino al collo, al mento, alla bocca. Stai con le orecchie dentro e il naso fuori. Scopri il mondo acustico che c'è di sotto: un tubo che sgocciola, la musica di una radio. Da qualche parte un cane abbaia. Squilla un telefono e il volume della radio si abbassa, qualcuno attraversa una stanza.
“E' che sembri piccolina”, sta dicendo Leo quando riemergi, “ma io l'ho capito come sei. Sei un gas, ti espandi appena puoi farlo. E' per questo che ho bisogno di tracciare un confine, lo capisci? Uno lo impara, a stare da solo. E' una cosa che si può imparare, e si riesce perfino a stare bene. Ma se adesso ti lascio entrare tu invadi tutto lo spazio che c'è.”
Bel monologo, pensi, com'è che ha cominciato? Lo immagini lì fuori, a parlare contro la porta, con la sua mezza sigaretta spenta tra le labbra, le mani nere e la maschera da saldatore che lo fa assomigliare a un palombaro.
“Sofia, mi hai sentito?”, chiede.
“Certo che ho sentito”.
“E mi faresti sapere che cosa ne pensi?”
“Posso stare ancora un po' nella vasca prima di andarmene?”
“Come?
“Solo finché l'acqua è bella calda”, dici. “Poi mi levo dalle palle, giuro. Vado a espandermi da un'altra parte”.
“Sofia”, dice lui, esausto. Conosci bene quel modo di esalare il tuo nome. Senti un colpetto sulla porta che dev'essere la sua fronte, poi un altro, poi più nulla. Poco dopo il motore della combinata riparte, e tu allunghi un braccio per prendere l'asciugamano. “



Ci sono dei libri che fanno arrabbiare.
E c'è una frase, a pagina 195, che sfrutterei per descrivere l'intero romanzo: "E' un lavoro pieno di idee”, dissi. "Di gusto estetico, di pensiero. Ma non va da nessuna parte. E questa cosa all'inizio ti affascina, poi ti disturba, alla fine ti annoia e ti fa incazzare. Al cinema la gente uscirebbe a metà del film".
Basterebbe questa per recensirlo.

Ho impiegato davvero tantissimo tempo a leggere duecento pagine, e non perché la scrittura di Cognetti fosse complicata o chissà che, no, semplicemente perché a mio parere, quelli che lui ha chiamato capitoli, sono in realtà racconti a sé stanti: uniti tra loro per dar vita ad un romanzo creano solo tanta confusione. E' vero, l'hanno definito un “romanzo di racconti”, ma c'è poco da fare, il legame tra le parti è sfuggente: facile perdere il filo, difficile riagganciarsi alla storia principale.
Già, perché anche se al centro c'è l'enigmatica Sofia, le ruotano attorno mille altre storie, tanto che lei diventa solo un misero puntino che, in una tale baraonda di immagini, si fa perfino fatica a mettere a fuoco.
Finalista al Premio Strega 2013 (!), anche se mi ha fatto penare, è riuscito a incuriosirmi.
Credo che ci sappia fare. Forse ha solo messo su una trama disordinata.
Sarò felice di scoprire come se l'è cavata col nuovissimo romanzo.

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