Fabio Geda - Se la vita che salvi è la tua



Fabio Geda - Se la vita che salvi è la tua

Einaudi (Stile Libero BIG)
2014
pp. 230
€ 17,50





"Si sente in colpa? chiede Walter.
Credo di sì.
Si sente in colpa o si vergogna?
Si sente...Oh, ma che differenza fa, Walter?
Walter si gratta la guancia. Mia madre faceva la maestra, sa? Prima di annegare. Le ho mai detto che mia madre è annegata?
Sì.
Ecco, mia madre aveva questa riserva di saggezza, frasi a effetto che usava con i suoi alunni. E con me. E tra le varie c'era il discorso sul perdono. Walter esplode in una risata che si risolve in un attacco di tosse, cerca il fazzoletto in tasca, lo porta alla bocca. Mi scusi, dice. Il fatto è che il discorso sul perdono era il suo preferito. Credo si divertisse più lei a farlo di quanto non le interessasse farci capire cosa diceva. Ma il fatto, in ogni caso, è che lei diceva le cose in questo modo trasparente, che era impossibile poi non capire dove volesse andare a parare, non so se mi spiego. E il discorso sul perdono partiva proprio dala differenza tra vergogna e senso di colpa, perché la vergogna, signore, la vergogna è come dire "io sono sbagliato" mentre il senso di colpa è come dire "ho fatto una cosa sbagliata", ecco qual era il succo del discorso.
Andrea annuisce.
La vergogna è una pozza di sabbie mobili, ti muovi e ti disperi e non fai altro che affondare. Conosco uno che si è ucciso, per la vergogna. Glielo giuro, signore. Si è sparato con un fucile davanti ai figli, roba da non credere. 
E se solo avesse pensato che non era vergogna quella che provava, ma senso di colpa, sarebbe bastato dire: ho fatto una cosa sbagliata. Walter si sistema sulla sedia e fa una smorfia, come se la gamba gli facesse male. Tutti facciamo cose sbagliate, dice. Ma noi non siamo l'errore. E' questo ciò che diceva mia madre, sa? Noi non siamo l'errore, siamo solo quelli che l'hanno commesso. E per lavare via una colpa basta pentirsi, sinceramente. Tace, poi riprende. Dovrebbe dirlo a quell'uomo di cui stiamo parlando. Dovrebbe farglielo sapere, se è un suo amico.
Lo farò."


Ogni volta che assisto alla presentazione di un libro, resistere alla tentazione di rientrare a casa a mani piene è sempre molto, molto difficile.
Te lo raccontano in modo tale da innescare quel maledetto meccanismo nella testa, cui è difficile sfuggire.
Ecco, a fine estate, nel bel mezzo dei giardini pubblici della mia città, con il profumo di terra bagnata pronto a fare da cornice ad una giornata che di estivo aveva veramente poco (questo lo dico perché chissà, magari ha contribuito a farmi infatuare del libro :D), ad assistere alla presentazione dell'ultima fatica di Geda, io c'ero.
E ricordo anche che, ahimè, ero dovuta rientrare a casa triste e sconsolata, senza libro.
Ho aspettato tanto per poterlo leggere e, ora che l'ho finito, non so, ho come la sensazione che le mie orecchie quella sera abbiano sentito tutt'altro.



Andrea Luna ha trentasette anni, insegna arte (quando gli assegnano qualche supplenza) ed è in piena crisi coniugale.
Lui corre, corre, corre. Non solo in copertina. Corre per non pensare, corre per impegnare il tempo, corre per andare in ospedale da Agnese, sua moglie.
Il libro comincia così.
Poi è tutta una corsa verso altre realtà che Andrea mai si sarebbe sognato di vivere. 
Immaginava una di quelle esistenze standard, semplici, tutte lavoro, casa, figli, matrimonio, due o tre amici.
Ma la vita è tutto un equilibrio precario, si sa. E quando manca un mattone, la casa può crollare da un momento all'altro. 
Così Andrea scappa. Pensa che una fuga momentanea possa rappresentare la soluzione a tutti i suoi problemi: pensa che gli possa servire per capire chi è e cosa vuole realmente. Ed è per questo che si ritrova catapultato in piena New York, a fare i conti con ciò che non aveva certamente preventivato, con la fame, il freddo e la miseria.
Poi, per fortuna - qualche anima buona nel mondo c'è ancora - arriva qualcuno che lo raccoglie come un gatto e lo salva. I Patterson, per l'appunto: mamma e due figli tredicenni.
Ma Andrea scappa nuovamente. Convinto di aver sbagliato, torna da Agnese e trova ciò che non aveva lasciato, ciò che non avrebbe mai voluto trovare.
Che fare, allora? Restare? O fare ancora una volta un passo indietro? Andrea e il suo equilibrio instabile. Andrea, forse indeciso, forse immaturo.
Non sarà ancora troppo tardi quando capirà finalmente chi è e di cosa ha bisogno. E per raggiungere la felicità sarà disposto a fare qualsiasi cosa, perfino a diventare merce per trafficanti di uomini..

Il libro è senza dubbio ben scritto, scorrevole, e Geda si conferma lo scrittore interessante che avevo avuto già modo di conoscere con "Nel mare ci sono i coccodrilli". Peccato che stavolta non mi abbia convinto.
Insomma, il romanzo non è mica spiacevole, tutt'altro; la vita di Andrea potrebbe benissimo essere quella di ognuno di noi, in crisi per il lavoro che non c'è, per un matrimonio che non va, per un periodo di spaesamento generale. 
Geda ha saputo descrivere bene i pensieri e le emozioni del protagonista, di uno dei tanti che si sente fuori posto, che crede di aver fatto tutto ciò che gli era stato chiesto dalla vita e non riesce a capire perché non abbia avuto niente in cambio, perché continui a sentirsi sbagliato (singolare e commovente, a questo proposito, l'ammirazione di Andrea per il quadro del figliol prodigo di Rembrandt, cui lo scrittore dedica una parte importante).
Mi spiego meglio: è una bella storia, una delle storie da tutti i giorni. C'è tutta la fragilità umana, c'è il non esser mai veramente convinti di ciò che siamo, c'è la paura di compiere delle scelte, c'è - spesso - la prontezza nell'aiutare gli altri e mai noi stessi.
Ma, non lo so, manca di quello sprint che la rende più accattivante, più appetibile, meno scontata. E poi quel finale..no, no, non ci siamo.
E' un libro che non mi ha particolarmente entusiasmato, questo no, però lo salvo. Perché? Perché insegna a non arrendersi, a dannarsi pur di trovare il proprio angolo di felicità, a salvarsi, anche quando sembra che non ci sia scelta.

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