Giuseppe Catozzella - Non dirmi che hai paura



Giuseppe Catozzella - Non dirmi che hai paura

Feltrinelli (collana I Narratori)
2014
pp. 236
€ 15



"Le mie gambe, in confronto a quelle delle altre, sembravano due rametti secchi. Erano senza muscoli, dritte. Non c'erano le sporgenze che vedevo su quelle delle altre: ero senza quadricipiti, senza polpacci. E poi anche senza deltoidi, senza trapezio, senza bicipiti. Le altre sembravano culturiste, in confronto a me. Gambe e spalle gonfissime, polpacci tesi all'estremo. Io non solo non avevo gli attrezzi per svilupparli, i muscoli, ma non avevo neanche un allenatore. 
E poi non avevo abbastanza cibo, se non quello che hooyo riusciva a procurare. Angero e acqua. Oppure riso e cavolo lessato.
Ero la più bassa, la più magra e la più piccola. Me l'ha svelato quello specchio impietoso, prima della gara.
In più, loro indossavano completi sgargianti e bellissimi, che richiamavano i colori delle bandiere dei loro paesi. Canottiere e pantaloncini in tessuti tecnici che aderivano ai corpi possenti. Io avevo il mio solito completo portafortuna. Una maglietta bianca che hooyo aveva lavato la settimana prima e che avevo gelosamente lasciato sul fondo della borsa. Profumava ancora di sapone alla cenere. I miei fuseaux neri che arrivavano sotto il ginocchio. In testa, la fascia bianca che aabe mi aveva regalato quasi dieci anni prima, e che avevo portato sempre con me, a ogni corsa, fino a quel giorno.
Nessuna delle altre mi ha fissata. Erano perfettamente concentrate.
Avrei dovuto esserlo anch'io, ma tutto era troppo diverso da ci a cui ero abituata. Mi sembrava di trovarmi in una situazione irreale, in un sogno."


Dell'atletica, in un paese dove si spara, non si cura nessuno. I signori della guerra non avevano alcun motivo per sostenerci, e quelli di Al Shabaab ci volevano morti, così come avevano ammazzato mio padre e la madre di Abdi. Neanche il Comitato olimpico aveva la forza e le energie per occuparsi di noi.
Eravamo dei pazzi che coltivavano la loro follia. Questo eravamo. Una follia che aveva come sogno la pace, la speranza di vivere insieme come fratelli.”

Se ti chiami Samia Yussuf Omar e sei nata a Mogadiscio, sai già che non avrai vita semplice.
Se poi ti piace correre, se è con le tue gambe che vuoi inseguire il sogno di gareggiare alla maratona di Londra del 2012, sai già che dovrai lottare. Tanto. Correre di notte, di nascosto dagli integralisti, farti allenare dal tuo migliore amico Alì, perché sarebbe troppo rischioso farlo fare ad un altro.
Se nel tuo paese nessuno sa cosa sia la Libertà, se in giro non si fa altro che parlare del Viaggio e vivere dei racconti di chi l'ha provato.
Se tuoi desideri hanno spiccato il volo, ma il cerchio dentro il quale ti trovi si restringe sempre più; se qualcuno ha deciso che non potrai mai condurre una vita normale da ragazzina della tua età, che non potrai viaggiare con la fantasia, né con le tue stesse gambe..resta una sola cosa da fare: mettere da parte la paura e battersi per i propri sogni.
Mi sono fermata un po' a riflettere, poi gli ho domandato: “Papà, ma tu non hai mai paura della guerra?”.
Lui si è fatto serio. “Non devi mai dire che hai paura, piccola Samia. Mai. Altrimenti le cose di cui hai paura si credono grandi e pensano di poterti vincere.”


Eccola qui, un'altra storia da far leggere a tutti, da divulgare con ogni mezzo possibile.
Quando non ci bastano le immagini che vediamo ogni giorno in tv, quando restiamo ammutoliti davanti a corpi che galleggiano nel mare, davanti ad un abbraccio dentro il quale si sono chiusi due ragazzi rimasti intrappolati in una barca sul fondale; quando vediamo milioni di persone in fila ai centri di accoglienza e ci domandiamo come sia possibile che aumentino di giorno in giorno..quando i nostri occhi assistono a tutto questo ma non sanno effettivamente cosa ci sia dietro quella miriade di visi stravolti, dietro tutti quei piedi che sono riusciti a toccare terra e dietro tutte quelle gambe che hanno tentato di nuotare invano..beh, allora ci serve proprio un buon libro come questo.

Samia è vera, è esistita sul serio. Catozzella ha raccontato con tanta dolcezza la storia di una lottatrice dalle gambe sottili, una ragazzina che chiedeva semplicemente di poter correre e che, dalla Somalia, solo con le sue forze, è riuscita ad arrivare ultima alle Olimpiadi di Pechino.
Con cosa correva?
Con la maglietta bianca che si portava dietro da anni, con la fascia portafortuna del padre, con il suo coraggio.
La potete vedere nella foto in alto. Avrei potuto scegliere mille altre citazioni per introdurre la recensione, ma mi sembrava giusto accompagnare la foto con un pezzo che riuscisse a mostrare tutto ciò che era Samia nel momento in cui si trovava ad un passo dal proprio sogno.
La voce narrante del libro è proprio quella della piccola eroina, e l'autore merita tutti i complimenti possibili, perché è riuscito a dare valore ad una voce tanto esile quanto temeraria come quella della protagonista somala.
Avevo già letto tempo fa “Nel mare ci sono i coccodrilli”, di Fabio Geda: i due libri si accomunano per il tema trattato, anche se si parla di zone diverse, così come diversi sono i personaggi, i loro sogni e i loro epiloghi.
Resta il fatto che questo, così come quello di Geda, è un libro essenziale, perché nessuno di noi deve più girare la testa dall'altra parte, parlare senza sapere, o continuare a far finta di niente.
Abbiamo il dovere di sforzarci di comprendere, capire cosa si prova a stare un anno e mezzo in viaggio per un briciolo di libertà, stipati in jeep, container o barconi superaffollati che distano ben poco – direi niente - da dei lager o dagli allevamenti intensivi di maiali. Capire cosa si prova a stare senza cibo né acqua per ore ed ore nel bel mezzo del deserto, farsi violentare per poter proseguire un viaggio che promette (e spesso poi non assicura) la salvezza, stare senza ossigeno e impazzire per le allucinazioni.

Il Viaggio è una cosa che tutti noi abbiamo in testa fin da quando siamo nati. Ognuno ha amici e parenti che l'hanno fatto, oppure che a loro volta conoscono qualcuno che l'ha fatto. E' come una creatura mitologica che può portare alla salvezza o alla morte con la stessa facilità. Nessuno sa quanto può durare. Se si è fortunati due mesi. Se si è sfortunati anche un anno, o due.
E fin da quando siamo bambini il Viaggio è uno degli argomenti preferiti di conversazione. Tutti hanno racconti di parenti giunti a destinazione in Italia, Germania, Svezia o Inghilterra. Colonne di tir con uomini cotti dal sole e morti dentro il forno del Sahara. Trafficanti di esseri umani e terribili prigioni libiche. E poi i numeri dei viaggiatori che muoiono nel tratto più difficile, la traversata del Mediterraneo, dalla Libia all'Italia. Chi dice decine di migliaia, chi dice centinaia di migliaia. Fin da quando siamo nati, siamo abituati a questi racconti, a questi numeri senza fondamento. Perché chi arriva, quando chiama a casa dice sempre la stessa cosa: non riesco a descrivere cosa è stato il Viaggio. E' stato terribile, questo di certo, ma non so dirlo a parole. Ecco perché è sempre avvolto dal più assoluto mistero. Un mistero per alcuni necessario per arrivare alla salvezza.”

Capire cosa significhi non essere liberi.
Ci dimentichiamo troppo, davvero troppo spesso, di quanto siamo fortunati.
Non rimaniamo inermi di fronte a tali tragedie. Apriamo gli occhi, leggiamo queste storie: è necessario capirle, oggi più che mai.

Commenti

  1. Ciao Mar To La, ho scoperto il tuo blog giusto ieri e con questa recensione mi hai convinto!! Cercherò prestissimo questo libro, sono d'accordo con te su tutto quello che hai scritto circa la pessima deriva razzista che sta prendendo la società odierna!!

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  2. Ciao Alenixedda!! Sono contenta di averti convinto..^_^
    Vale la pena conoscere la storia di una ragazzina che aveva sogni come quelli di tutti noi, ma che a causa dei grandi che governano questo mondo è stata costretta a sacrificarli..
    Ora sbircio un po' il tuo blog :)

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