Gianluca Gotto - Succede sempre qualcosa di meraviglioso
Ecco, è una
frase che mi è piaciuta talmente tanto da restarmi incollata alle dita, da
quando ho sfogliato il volume per la prima volta, in libreria. Ed è la stessa
che mi è tornata in mente mentre leggevo il libro di cui invece voglio
raccontare qualcosa oggi.
Non sono
neppure tanto convinta di riuscire ancora a farlo. Sono passati diversi anni e,
nonostante ormai sappia quasi praticamente per certo di esser composta per metà
di acqua e per l'altra metà di inchiostro, non sono più abituata a scrivere
recensioni.
Sento però
di doverlo fare in questa occasione, forse perché ho imparato che la bellezza
va condivisa ogni qualvolta se ne ha la possibilità, o forse perché questo
libro è il primo che, dopo tanto tempo, è riuscito sul serio a spalancarmi le
porte di un mondo nuovo - come solo certi grandi amori, appunto, sono capaci di
fare.
Le parole
sono cerotti: proteggono le ferite e aiutano la pelle sottostante a ricrescere
più forte di prima.
I libri
spesso arrivano al momento giusto. Sono anche disposti a fingersi morti sotto
la polvere, per anni, se necessario. Poi però un giorno li prendiamo in mano e
ci salvano. Ecco, forse ho deciso di parlare di "Succede sempre
qualcosa di meraviglioso" perché penso che certi periodi
difficili - soprattutto in questi ultimi anni - li abbiamo vissuti un po'
tutti.
Perché
questo è uno di quei cerotti che funzionano. Perché la vita è bella, è solo che
siamo abituati a guardarla dalla prospettiva sbagliata.
Seguo
Gianluca fin dai primi tempi, da quando ha aperto il blog MangiaViviViaggia, ma
un mesetto fa ho avuto la fortuna di incontrarlo durante il tour che lo ha
portato in giro per la Sardegna a bordo di un furgoncino vintage degli anni
'70, e sì, è stato in quel momento che ho deciso di leggere il libro che da più
di un anno avevo acquistato.
Andrò veloce con la trama, tanto so già che rallenterò non poco in seguito.
Davide è un
ragazzo come tutti noi. Ha studiato, è un aspirante architetto, è fidanzato, ed
ha una famiglia che manca di qualche pezzo, ma è comunque in grado di donargli
quella serenità di cui ha bisogno. Ogni sera infatti sente il nonno al
telefono, alla stessa ora, e si raccontano un po' com'è andata. Al nonno dice
tutto: per lui è anche più del padre che non ha, sono legati a doppio filo. Poi
all'improvviso ogni cosa si rompe: il nonno viene a mancare, il lavoro non c'è
più e Valentina lascia Davide senza troppe spiegazioni.
In un attimo
niente ha più senso. E Davide, convinto di esser forte, invece,
precipita.
Verrà in un
certo senso salvato dal nonno, e da un viaggio in Vietnam, che nascerà come una
missione da portare a termine e si trasformerà in uno splendido percorso alla
scoperta di sé.
Davide, all'inizio, racconta com'è la sua vita. Una vita normale, come tante. La vita che ci fa credere di avere tutto sotto controllo, perché è quel tutto a cui la società in cui viviamo ci ha abituato. Nessuno ci ha mai educato a conoscerci per davvero, a capire chi siamo, cosa abbiamo dentro, a costruirci un'impalcatura solida, forte, inattaccabile; spesso ci hanno solo spronato a sviluppare potenzialità che ci permettessero di venderci bene nell'universo lavorativo, o semplicemente di trovare una sorta di posto tra tutti gli altri, sulla stessa barca.
«Vivevo dentro una serie tv in cui ogni episodio era identico a tutti gli altri, ma dentro di me non c'era quella totale indifferenza verso tutto e tutti che caratterizza molte persone in crisi. Io, purtroppo, conservavo la parte emotiva e quindi, alla sera, spesso mi capitava di cadere preda dell'ansia. Quando succedeva, sapevo che c'era solo una cosa da fare: sdraiarmi sul pavimento della mia cameretta e da quella posizione guardare il cielo fuori dalla finestra. Solo da lì riuscivo a vederlo senza che ci fossero di mezzo i palazzi vicini o le gru dei cantieri. Era uno scorcio sull'universo, e quella vista era davvero l'unica cosa che mi calmasse quando iniziavo ad agitarmi. A volte ci passavo un'ora così, sdraiato per terra.»
Ma prima o poi capita che qualcosa arrivi senza avvisare, ci spezzi in due - e forse anche in quattro, cento, mille - e ci lasci così, convinti di aver perso tutto, senza sapere da che parte iniziare per rimettere insieme i cocci. A volte quasi ci sembra di non vedere neppure più il cartello che indica l'uscita.
Ed invece,
tante di quelle volte, anche se non ci rendiamo conto subito, ciò che segna la
fine, in realtà segna anche l'inizio. L'inizio di qualcosa di unico.
I vasi si
rompono, esattamente come le persone, le relazioni, i sogni. Eppure c'è
un'antica arte giapponese, detta "kintsugi", attraverso la
quale i vasi si aggiustano ricoprendo d'oro ogni crepa, in modo tale che non
scompaia ma, anzi, renda ancora più prezioso ciò che era andato in pezzi.
Perché è dalle crepe che entra la luce.
A Davide
capita questo. Ed è talmente preso dal suo dolore, che esser quasi costretto a
partire il Vietnam e ad affrontare il viaggio più lungo tra quelli fatti fino a
quel momento, gli sembra solo l'ennesimo ostacolo da superare. Non vuole
partire, ma lo fa per il nonno, perché in una lettera gli ha chiesto un favore
e il macigno che si porta dentro è troppo grosso per non assecondare le volontà
dell'unica persona a cui ha voluto un bene speciale. Così parte, senza
immaginare che sta andando alla ricerca non solo di Guglielmo, amico del nonno,
ma soprattutto di se stesso.
Guglielmo "Guilly" è una di quelle persone che si incrociano raramente nella vita, le persone che emanano una luce particolare e che illuminano la strada quando abbiamo deciso di spegnere tutte le luci. Spiriti liberi che non sempre inizialmente sono semplici da comprendere, forse perché ci impieghiamo un po' a guardare fuori dai nostri orizzonti, perché non siamo abituati, perché richiede fatica, in un momento in cui stare male ci sembra già abbastanza. Davide infatti non accetta subito di seguire Guilly nelle sue avventure senza nome, dalle destinazioni ignote. Lui è quello delle certezze. Come noi. Ma Guilly gli fa vedere che sono fragili, che le poche che aveva sono infatti state spazzate via dalla prima folata di vento. Che le vere certezze sono resistenti, inalterabili e, soprattutto basate su ben altro. Su ciò che siamo davvero.
«Tu non sei qui per un motivo preciso. Molto semplicemente, sei fatto così. Puoi tirare fuori tutte le risposte che vuoi, parlarmi di tutte le giustificazioni del caso, ma la verità è che c'è una forza dentro di te che ti ha spinto verso questo luogo, e questa forza non la puoi spiegare. È la tua essenza più profonda. È ciò che ti porta a fare quello che non puoi spiegare, appunto. È ciò che sei davvero [...] E allora spiegami perché ti innamori di una certa persona. Perché a te basta guardarla negli occhi per sorridere, mentre a un altro quella stessa persona non fa alcun effetto. [...] Dimmi per quale ragione scientifica tu hai certi pensieri e un altro ne ha diversi; perché davanti a un tramonto ti emozioni e un altro no, perché certe piccole cose apparentemente insignificanti ti fanno sorridere e altri le trovano stupide; perché ami certi cibi, certa musica, certi momenti e qualcun altro, invece, no.»
Ecco, il viaggio in giro in moto per il Vietnam va avanti così, in parallelo con quello interiore del protagonista ed in parallelo con quello di chi legge.
Gli
argomenti sono tanti: si parla di sofferenza, preoccupazioni, aspettative,
tutte cose che siamo abituati a sentire ogni giorno, perché per noi questa è
normalità. Camminiamo per le strade e notiamo che sono pochi quelli che
sorridono. Ma ci chiediamo mai quanto può esser sostenibile una vita di questo
tipo? E se cominciassimo a ridimensionare la nostra visuale?
«Nulla va mai come vorremmo, Davide. C'è sempre qualcosa che va storto. A volte è un ostacolo piccolo, a volte è insormontabile. A volte è colpa nostra, altre volte no. Il punto è un altro: il fallimento è inevitabile. E allora non è forse meglio fallire seguendo i propri sogni? Facendo ciò che più si ama? In quel caso non è nemmeno un fallimento, è solo un'esperienza. La sofferenza c'è quando cadi mentre stai correndo in una direzione che non volevi nemmeno prendere!»
«Perché
ti preoccupi di qualcosa che non è ancora successo e probabilmente non
succederà mai? Perché stai pensando solo alle cose brutte che potrebbero
accaderti?»
«Perché
potrebbe andare male...»
«E
se invece andasse maledettamente bene? Perché a questo non ci pensi?»
Non
dissi nulla.. Ero un pessimista, ecco perché.
«Segui
il tuo cuore e vivi attimo dopo attimo. E prima di dire che è sbagliato, dimmi:
ci hai mai provato? È un bel modo di vivere.»
«Non
c'è nulla di sbagliato in te, c'è però questo peso che si è venuto a formare e
ti porti dietro ogni giorno. La paura nasce quando dobbiamo affrontare qualcosa
che non conosciamo. Ecco perché preferiamo non affrontare ciò che abbiamo
dentro: non sappiamo cosa potremmo trovarci davanti.
«E
come si fa a...guardarsi dentro?»
«Ci
vuole molto impegno, ma soprattutto tanto coraggio. Volgere la propria
attenzione alla parte più profonda e nascosta della nostra persona è un atto
eroico, specialmente in un mondo così pieno di distrazioni come quello in cui
viviamo. È molto più facile concentrarsi su ciò che c'è fuori,
trovare all'esterno sia la causa della propria sofferenza sia l'illusione di
una soluzione. Ma questo significa, appunto, anestetizzare un piede in cui si è
conficcato il chiodo. Per guardarsi dentro è necessario avere il coraggio di
togliere il chiodo. E poi analizzarlo con attenzione.»
La felicità è un ingrediente facilmente reperibile, siamo noi che andiamo a cercarla nei posti sbagliati.
Da sdraiati
si vede il cielo, e questo già aiuta. Ma anche capire qual è il nostro posto
nel mondo diventa fondamentale per darsi davvero la possibilità di esser
felici.
«La società in cui vivi ti pone su un piedistallo. Ti fa credere che tu sia più importante di una pianta, del mare, di un gatto, di un altro essere umano. «Pensi di essere più importante di questo pugno di sabbia», disse prendendone un po' in mano. Quando invece tu sei importante proprio perché fai parte di tutto questo. [...] È importante essere umili per essere felici. [...] La vera ricchezza appartiene a chi sa essere felice con poco. Perché se ti basta poco per sorridere, sorriderai sempre, anche nelle situazioni peggiori. Se invece la tua felicità è complessa ed esclusiva, sarai felice solo in rarissime occasioni. Oggi l'umiltà è ripudiata in Occidente, quasi come se fosse qualcosa di cui vergognarsi. E invece è un pilastro della felicità, quella vera.
L'ego
ti fa credere di avere il mondo sulle tue spalle, e questa è una responsabilità
troppo grande per poter vivere serenamente. L'umiltà cancella il veleno
dell'ego e ti porta alla consapevolezza che tu non sei al centro dell'universo,
ma ne sei parte. E di questo c'è solo da essere grati e felici, ogni singolo
giorno. Perciò è importante osservare l'alba. Aiuta a ritrovare la giusta
prospettiva: c'era prima di te, ci sarà dopo di te. Tu sei qui, di passaggio, e
invece di preoccuparti e ambire ad avere sempre di più, dovresti semplicemente
goderti questa possibilità: una nuova giornata. Ventiquattro ore a tua
disposizione. Ogni alba è la possibilità di rinascere.
L'alba
ti fa capire che, per quanto possa essere rumoroso il tonfo della tua caduta,
domani il sole sorgerà lo stesso. Venire qui, ogni giorno, ti insegna che il
mondo andrà avanti incurante dei tuoi piccoli o grandi fallimenti. E allora di
cosa ti preoccupi tanto? Provaci, tanto vale rischiare. Perché un giorno sarai
polvere al vento e, poco prima di diventarlo, vorrai solo poter tornare
indietro e darti quella possibilità. La possibilità di essere felice.»
E se c'è una cosa che dimentichiamo troppo spesso, perché siamo tutti intenti a correre da una parte all'altra, è che il tempo è poco. Lo capiamo solo quando stiamo male. Paradossale, no?
«Questo è ciò di cui vogliono convincerti affinché tu sia sempre produttivo, sempre "sul pezzo", sempre in competizione con qualcuno. Ti dicono che se ti fermi a prendere fiato e ad ammirare un tramonto sei uno scansafatiche, ti fanno sentire in colpa! Eppure la magia della vita non sta forse tutta in quei momenti? Il senso della vita non lo percepisci proprio quando guardi un tramonto e senza una spiegazione logica hai la pelle d'oca? Se ancora giovane, Davide. Cerca di capire che il tuo tempo è prezioso e non puoi sprecarlo complicandoti la vita senza nemmeno sapere bene perché lo fai. Lascia la complessità a chi vuole rovinarsi la vita, a chi non ha sogni ma è schiavo delle aspettative altrui, a chi vuole sempre di più e non riesce ad apprezzare mai niente di quello che ha. [...] Ti dicono, fin da bambino, che sarai felice quando avrai qualcosa che ora non hai. Ti fanno venire voglia di cercare sempre un "più": più soldi, più amici, più cose da sfoggiare, più risultati, più ambizioni. E il paradosso è che, per inseguire il "più", la maggior parte delle persone vive di meno, perché quando arriva a casa alla sera dopo una giornata tutta spesa a correre, non ha tempo ed energie per fare niente di ciò che ama. Se solo la gente si concentrasse sul "meno"...meno paure, meno tensione, meno dubbi, meno rabbia, meno sofferenza. Ecco quello di cui ognuno di noi ha bisogno. Non qualcosa in più, ma qualcosa in meno.»
Ma allora come si fa a ricavarsi il proprio pezzetto di felicità, in un mondo distratto, in cui tutti chiedono cose inutili ("Quale macchina hai comprato?/Perché non sei ancora sposato?/Perché non hai figli?/Quanti esami ti mancano?/Che lavoro fai?") e quasi nessuno domanda mai se siamo felici?
Ci si fa
questa domanda da soli: “Tra dieci anni la tua vita sarà identica a
com’è ora. Come ti fa sentire questo?” e, se la risposta non ci piace,
si cambia.
Si trova il
proprio "ikigai", cioè il nostro scopo nella vita, un
cerchio che racchiude ciò che che amiamo fare, in cui siamo bravi, che ci
permette di apportare un cambiamento positivo al mondo e, allo stesso tempo, di
guadagnarci da vivere. In altre parole, il motivo per cui ci alziamo la mattina,
che unisce passione, professionalità, competenze e amore per per il mondo che
abitiamo e le persone che ci vivono accanto. Perché solo chi fa qualcosa che lo
rende felice, riesce ad aiutare anche chi gli sta vicino e a trasmettere la
propria serenità.
«Di tutto quello che ci siamo detti in questi giorni, mi piacerebbe che tu portassi con te una cosa in particolare. Basta solo questa: ricordati sempre che l'amore è la risposta giusta a ogni domanda, è la soluzione a ogni problema, è la chiave che apre tutte le porte. [...] L'amore è l'unica luce in grado di mostrarti la strada per uscire dalle tenebre in cui, a volte, la vita ti fa precipitare. L'amore è ciò che dà un senso alla vita. E una vita senza amore, infatti, non ha alcun senso. Amala, sempre. Vedrai che alla fine lei amerà te. [...] Io parlo dell'amore in generale. La gentilezza, l'altruismo, l'empatia. Dove sono finiti? Sono stati schiacciati dal cinismo, che è figlio della troppa razionalità. Oggi tutti ragionano come te: se non posso spiegarlo, non ha senso. È così che si diventa freddi e si perde di vista la vera magia di questa esperienza straordinaria che è la vita: l'amore. Una cosa che non si spiega, si può solo vivere. È la cosa più bella che possa capitarti.»
In fondo basta poco.
«Ciò che mi affascinava di lui era la sua felicità. Non era quella rumorosa tipica di chi vuole farlo sapere a tutti, né quella falsamente perfetta che vedevo ogni giorno sui social network e che spesso mi portava, senza volerlo, al confronto, che era sempre impietoso: gli altri erano tutti perfetti, io facevo schifo. E questo mi portava addirittura a detestare delle persone che comparivano sul mio schermo e che non avrei mai incontrato dal vivo e poi a deprimermi, perché mi rendevo conto di passare ore a invidiare gli altri invece di fare qualcosa di concreto per me, per stare meglio. Con Guilly, invece, il discorso era completamente diverso. La sua era più che altro una forma di serenità che mi metteva di buonumore. Forse perché non era legate alle apparenze inarrivabili, al denaro o al lusso sfrenato. Era pacifico, equilibrato, calmo. Quella risata che precedeva o concludeva le sue riflessioni era piena di...amore. Amore per la vita. Era bella la felicità di Guilly, perché ti faceva pensare che anche tu saresti potuto essere felice come lui. Senza dover diventare milionario, avere una ragazza bellissima al tuo fianco, essere famoso o avere un lavoro prestigioso. In fondo, chi era Guilly? Un uomo anziano con una barba lunga che girava a bordo di una vecchia moto con i sandali ai piedi e una sacca in spalla. Eppure quando rideva sembrava ricchissimo. Era un uomo semplice e semplicemente felice.»
No, non c'è bisogno di andare in Oriente per fare proprie queste riflessioni, non dobbiamo necessariamente diventare zen, né buddhisti, né posizionare il letto con la testa a nord secondo il Feng Shui. È tutto molto più semplice di così.
Questo libro
è un inno alla vita. Alla possibilità e al coraggio di adattare la realtà alla
forma della nostra felicità. Perché sì, è solo nostra, diversa da quella degli
altri. L'unica certezza, la sola cosa che possiamo controllare. Abbiamo il
dovere di difendere questa unicità e di circondarci di persone che non ci fanno
essere niente di diverso da ciò che siamo.
Un inno alla
bellezza e alla potenza della Natura, l'unica capace di ridimensionare
l'ampiezza del nostro sguardo e renderci pazienti, perché un seme richiede
tempo per diventare albero, un fiume scorre alla sua velocità, il sole arriva
solo quando sa che il momento è quello giusto. E la vita non è una gara,
ma un viaggio che consta di più tappe, che vanno godute una per volta. Scegliere la strada panoramica ci fa rallentare, ma regala sempre i paesaggi
migliori.
Un inno al
viaggio, appunto, non solo nella sua accezione più classica, ma anche alla
decisione di essere viaggiatori della vita, persone che non stanno ferme sulle
proprie posizioni e che ogni giorno sono capaci di mettersi alla prova ed
esplorare il quotidiano, per arricchire la vita di colore e scoprire che
succede sempre qualcosa di meraviglioso: qui e ora. Sei vivo.
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